Jesi (AN), Azienda Diatech Pharmacogenetics”, 25 settembre – 29 novembre 2020, a cura di Galliano Crinella
“Poesia dello sguardo”
“…Gli interventi critici che illustrano il ricchissimo percorso fotografico dell’artista perugino, anconetano d’adozione, sottolineano quale sia stata la sua attività professionale, chirurgo di riconosciuto pregio nella tecnica laparoscopica, e taluni hanno voluto ritrovare in essa un’incidenza nel suo modo di fare fotografia. È un legame che certamente vi è stato e che, in alcune interviste, lo stesso fotografo non ha tralasciato di ricordare. Sappiamo che molto spesso il dato biografico condiziona le nostre esperienze di vita, e dunque può sicuramente aiutarci a contestualizzare, a tentare di definire e dar conto di qualche aspetto della sua originale produzione fotografica. Credo che la formazione in ambito scientifico, l’attenzione critica, l’esigenza di analisi puntuali, l’individuazione delle cause, caratteri che si ritrovano nella natura stessa dell’arte medica, abbiano ispirato gli inizi e l’evoluzione della sua opera.
Poi Cutini è andato ben oltre, mettendo in campo la sua abilità nel sapersi rapportare liberamente con il dato reale e nel conferire ad esso un’armonia parallela. La natura rimane la stessa, ma nulla resta di ciò che appare. E così l’immagine non si chiude in una ossessiva restituzione dei particolari, in una vera e propria riproduzione analitica, per cui la fisicità della veduta sembra avviarsi ad essere superata in uno spiritualismo della visione o meglio in una perdurante, sensibilissima poeticità della visione. La forma bella delle fotografie nasce dalla purezza e sincerità del suo cuore. Credo sia opportuno ricondurla ad una necessità spirituale e porla in sinergia con un innato spessore intellettuale e morale, poi irrorato da un costruttivo dialogo con gli accadimenti più vivi delle differenti espressioni della creatività artistica contemporanea. Nel suo insieme, a me pare tuttavia che il lavoro di Cutini, teso ad una continua ricerca di senso, difficilmente si lasci giustificare interamente entro le maglie, gli orizzonti, le progettualità di gruppi, movimenti, o singoli artisti. Ed ha percorso, fin dagli inizi nei primissimi anni settanta, un itinerario tutto proprio, aperto ad una continua sperimentazione e problematizzazione dell’esperienza stessa del vedere: “Sono attratto da una fotografia ‘di ricerca’, del pensiero, del sentimento e della poesia. Ciò che più conta, a mio giudizio, non è la realtà fissata, ma l’emozione che può suscitare, la capacità di impadronirsi di un aspetto immaginario, di recuperare un frammento di tempo e portare tutto ciò nell’immagine”. È necessario aprirsi su noi stessi, sembra affermare Cutini, perché un discorso artistico che non sopporta una misura interiore non vale la pena di essere vissuto. La fotografia non può non essere espressione di ciò che si ha dentro, in un punto di equilibrio tra l’interiorità del fotografo-persona e ciò che esiste fuori di lui…”
“…Nel lavoro creativo di Cutini vedo presente un valore al quale ha dedicato riflessioni molto lucide, ricche di acume letterario, Italo Calvino, nel postumo Lezioni americane. Sei proposte per il nuovo millennio (Milano, 1993): è il valore della leggerezza. Alcune sue opere fotografiche appaiono veramente come una sorta di carezza sul mondo. “Togliere peso” alla realtà e rendere più leggera la propria visione della realtà: questo obiettivo è presente anche nelle innovazioni fotografiche di Cutini. La leggerezza, quasi una parola d’ordine per il nuovo millennio che si erge a barriera di fronte alla pesantezza, alla pietrificazione dei luoghi e delle persone, alla durezza del mondo. Possiamo riandare qui, ampliando l’argomentare calviniano, a due momenti diversi e distanti di quello stesso valore. Da un lato, la prima grande poesia, il De rerum natura di Lucrezio, in cui la ricerca della leggerezza è la reazione al peso del vivere. E dunque conoscenza del mondo “diventa dissoluzione della compattezza, percezione di ciò che è infinitamente minuto, mobile e leggero. Lucrezio vuole scrivere il poema della materia, ma ci avverte subito che la vera realtà di questa materia è fatta di corpuscoli invisibili e che il vuoto è altrettanto concreto che i corpi solidi”. Così, commenta Calvino, “la poesia dell’invisibile, come la poesia del nulla, nasce da un poeta che non ha dubbi sulla fisicità del mondo. Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi del nuovo millennio sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta – filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come un cimitero d’automobili arrugginite…”
“…Possiamo concludere questi appunti sparsi, all’inizio del bel Catalogo curato da Giulio Santoleri, rilevando come Giorgio Cutini abbia cercato di trasformare l’apparecchio fotografico in un occhio meditativo, in un ampliamento dell’organo della vista, quell’occhio che nell’antichità era considerato il centro, il punto focale della struttura umana. Credo che il fotografo perugino possa convenire con quanto affermava lo stesso Mario Giacomelli: “Al limite, confesso che potrei anche non scattare foto, non spingere quel minuscolo bottone per imprigionare sulla carta sensibile un’immagine. Lo faccio perché voglio dare anche agli altri la stessa sensazione di bellezza o di commozione che io stesso ho provato”. Nella sua forte, rivendicata libertà creativa, Cutini ha saputo sviluppare una straordinaria poesia dello sguardo ed una singolare figurazione dell’invisibile, che ne fanno una delle espressioni artistiche più interessanti nel panorama marchigiano ed italiano degli ultimi decenni. Urbino, febbraio 2020. Galliano Crinella